venerdì 14 novembre 2014

Allo sbando la sottocultura zootecnica. Che nutre i propri figli col latte di Alta Quantità




 13 novembre 2014 - Da alcuni mesi non si fa che parlare di quote latte. L’intero sistema ha paura che gli allevatori, essendo costretti ad aumentare la produzione per capo per colpa di un prezzo sempre insoddisfacente, spingeranno ancor più verso l’alto i livelli produttivi, determinando in tal modo una ulteriore riduzione dei prezzi. In una situazione del genere e con queste prospettive, ti aspetteresti delle politiche di sviluppo e dei comportamenti da parte del mondo produttivo che andassero nella direzione opposta, che proponessero e auspicassero modelli di allevamento che, piuttosto che ridurre i costi - con conseguente crollo della qualità della vita degli animali e della qualità dell’ambiente - esaltassero le buone pratiche e legassero la qualità del latte al territorio, alla qualità dell’alimentazione. Basta con il latte miscelato, con un latte anonimo il cui prezzo è unico per tutti!
Invece non solo non si vede in giro uno straccio d’idea, ma la cronaca di questi giorni ci propone due episodi che la dicono lunga sulle capacità di autorigenerazione del sistema.
Nel mese di ottobre il Ministero delle Politiche Agricole ha stanziato, come fa quasi ogni anno, 12,5 milioni di euro per l’acquisto  di formaggi Dop da distribuire ai Paesi indigenti. I formaggi devono essere scelti fra Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Asiago, Provolone Valpadana, Fontina, Montasio, Pecorino Romano e Pecorino Toscano. Che dire di un Paese che, per dare un po’ di soldi alle aree più ricche della penisola, li motiva come un dono agli indigenti?  Perché siamo ridotti a tanto? Perché, nonostante che i Consorzi di Tutela, quasi tutti, abbiano da qualche anno adottato un sistema di contingentamento della produzione (alla faccia della libera concorrenza), per evitare l’abbassamento dei prezzi, i livelli produttivi si mantengono sempre superiori alla domanda? E stiamo parlando dei formaggi DOP, che non devono temere l’importazione di latte dall’estero, perché devono essere prodotti con latte della zona di produzione. Visto che c’è troppo latte ti aspetteresti l’avvio di politiche virtuose tese a ridurre la produzione per capo e non per stalla. In questo modo avresti un recupero della qualità del latte e, quindi, uno strumento per essere sul mercato con un latte diverso da quello che viene dall’estero, o dalle aree circostanti.
Invece, se da una parte la ricca zootecnia del Nord sta sempre con il cappello in mano a chiedere sussidi, dall’altra spinge sempre più verso livelli produttivi alti creando in tal modo i problemi di cui sopra. Tanto alla fine arriva sempre il dono ai Paesi indigenti. Non più di dieci giorni fa, e Qualeformaggio ne ha parlato, sono stati denunciati 26 allevatori per uso di somatotropina. Certo, 26 su migliaia sono una nullità, ma siamo sicuri che siano solo loro? E poi, che senso ha aumentare la produzione  se i costi per produrre quel latte sono alti e, quindi, a sentire questi signori, si produce in perdita? E comunque, la somatotropina è solo la punta dell’iceberg, è la cartina di tornasole e il naturale epilogo di una cultura, questa sì dominante, che pretende di produrre latte con sistemi intensivi abnormi e, cosa ancora più paradossale, pretende anche che questo latte sia di Alta Qualità. Quando parlo con questi allevatori che si vantano di avere vacche con produzioni record mi chiedo se quel latte lo danno ai propri figli. Io credo di sì e penso anche che siano convinti di dar loro il miglior latte, di Alta Qualità appunto. Ecco perché non c’è speranza, o meglio, non è da quel sistema e da quel modello che può venire la soluzione al problema, perché il problema sono proprio loro.
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di Roberto Rubino
presidente ANFoSC
(Associazione Nazionale Formaggi Sotto il Cielo)

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